"Siamo alla fine del XX secolo. Il mondo intero è sconvolto dalle vendite della Playstation. Sulla faccia della Terra, il Saturn era quasi scomparso e resisteva a fatica nel solo Giappone. Tuttavia, la SEGA, era sopravvissuta."
Oggi, anche in vista della recente chiusura del sondaggio dove chiedevo di votare la propria console preferita e che vede vittoriosa l'ultima console di casa SEGA, parliamo della Dreamcast, dei suoi infiniti pregi, del vuoto che ha lasciato nel mercato videoludico, ma soprattutto nei cuori di molti appassionati videogiocatori che come me, cresciuti negli anni '80, hanno sempre considerato il mondo dei videogiochi come un duopolio diviso e conteso fra SEGA e grande N. Ma andiamo con ordine.
Nel 1997 si vociferava che la SEGA si preparasse a far uscire una nuova console in sostituzione del quasi defunto Saturn. A onor del vero però, il Saturn godeva di un'ottima vitalità nel suolo del sol levante, continuando a sfornare titoli di tutto rispetto che andavano però tutti verso una direzione che il "grande" pubblico (Lasciatemelo dire, ignorante come bestiame da pascolo...) non gradiva, ovvero il 2D, in un'epoca dove persino il peggior 3D era considerato comunque, senza un minimo di occhio critico, migliore, o quantomeno più innovativo. Eppure ci sono dei capolavori, soprattutto fra i picchiaduro bidimensionali di Capcom, in uscita su Saturn in quel periodo, che nessuno poteva eguagliare. Ma sempre ad onor del vero, c'erano degli evidenti limiti nella macchina partorita da SEGA, primo fra tutti quello dell'architettura centrale che vedeva i due co-processori lavorare al meglio delle loro capacità con uno sfasamento di qualche millisecondo l'uno dall'altro, rendendo praticamente impossibile "fare le cose fatte bene", parafrasando Yuji Naka, oltre al fatto che furono necessarie cartucce di espansione RAM, da alloggiare nello slot della backup memory, per poter supplire alla scarsa capacità della macchina in termini di memoria, almeno per quanto riguarda i giochi usciti nell'ultimo periodo di vita della console.
SEGA non aveva nessuna intenzione di sbagliare nuovamente e quindi si giocò tutto con quella che sarebbe stata la console più rivoluzionaria e meravigliosamente incompresa dell'era dei 128 bit. Inizialmente conosciuto come "Project Katana", la nuova macchina, secondo SEGA, avrebbe dovuto innanzitutto eguagliare la tecnologia della scheda NAOMI, che la stessa azienda di Tokyo aveva sviluppato per i giochi da bar, per favorire il porting dei grandi titoli di richiamo che giravano in quel periodo su quella piattaforma, come ad esempio la serie sportiva Virtua, PowerStone, The House of the Dead, Crazy Taxi e non ultimo Soul Calibur. Avrebbe dovuto, inoltre, essere estremamente semplice da programmare, per riparare ai problemi avuti durante la vita del Saturn che era corredato di un kit di sviluppo fornito da SEGA in cui era necessario compilare in Assembler, a differenza, ad esempio, del molto più semplice linguaggio C del kit SONY. SEGA decise quindi di affidarsi a Microsoft, per ottenerne una versione personalizzata di Windows CE da usare come sistema operativo. La discussione qui si fa complicata per cui la salto a piè pari, giusto per non annoiarvi.
Quindi si scelse per l'architettura di un, unico stavolta, processore e di un chip grafico.
Nel 1998 la SEGA commercializzo in Giappone prima, ricevendo una tiepida accoglienza, e poi nel '99 negli USA e infine (come sempre) in Europa la sua nuova console, il SEGA Dreamcast.
Mi soffermo un attimo sul lancio americano della console, decisamente il più riuscito di quell'epoca. Il Dreamcast raggiuse il suolo degli stati a stelle e striscie il 09/09/99, al prezzo di vendita di $ 199,99. Eh si, cadevano a fagiolo tutti 'sti nove, vuoi non sfruttarli a dovere?
Insomma, la Dreamcast vendette un milione di unità in soli due mesi sul territorio americano, a differenza di quanto era riuscita a fare Sony, che per arrivare a vendere la milionesima Playstation dovette attendere nove mesi.
Non vi annoierò con caratteristiche tecniche di cui possiamo fare volentieri a meno, vi dirò piuttosto che Dreamcast fu in assoluto la prima console a possedere un modem (built in) a 56K (Almeno in America e Giappone, da noi arrivò la versione a 33,6K) integrato nella console per permettere il primo gaming online, il servizio di internet e posta attraverso il Dreamcast Passport che veniva venduto assieme alla console (In pratica il browser e altri tool per l'utilizzo di internet dal proprio televisore).
Inoltre, a segnare la rottura con il passato vi era stata la scelta del colore, bianco (C-C-C-Combo Breaker!!!), che andava a cozzare con il classico "total black" delle console precedenti di casa SEGA.
Altra cosa che subito catturò l'attenzione del pubblico fu il joypad della console e la memory card, ribattezzata Visual Memory Unit (VMU). Il joypad del Dreamcast disponeva di una leva analogica e di un classico D-pad, quattro tasti colorati, un tasto triangolare "Start" posto al centro e sul dorso due tasti "a grilletto" anch'essi analogici. Inoltre frontalmente si trovavano due alloggiamenti per potervi inserire le VMU, oppure altri acessori, come il rumble pack, il microfono e possibilmente altri add-ons che non vedremo mai.
La VMU era una piccola console a 8-bit capace di gestire un orologio interno con annessa funzione sveglia, un datario, oltre alla possibilità di vedere e navigare tra i salvataggi presenti all'interno della stessa. Un'altra figata clamorosa era la possibilità, mal sfruttata a dirla tutta, di scarica congiuntamente ai salvataggi, dei minigiochi da poter giocare direttamente sulla VMU, visto che quest'ultima era dotata di due tasti funzione, due tasti per il gameplay e un D-pad. Inoltre era possibile connettere tra loro due VMU per poter passare dati da una all'altra o sfidarsi ai minigiochi scaricabili.
Come accadeva con la memory card per il NEO GEO AES, anche la VMU di SEGA poteva trasferire i salvataggi casalinghi sulle macchine da sala giochi, in quanto i cabinati prodotti da SEGA successivamente alla commercializzazione della Dreamcast, avevano (Almeno in Giappone, qui da noi non si videro mai...) degli slot per ospitare le piccole memory card.
Viste le enormi potenzialità del nuovo dispositivo, SONY, rabbrividendo, pensò bene di andare alla carica in uno dei due soli modi che conosce: copiando, spudoratamente.
Ne nacque un altro dispositivo targato SONY, la Pocketstation, una memory card compatibile con la Playstation che aveva le stesse funzionalità della controparte SEGA, con l'unica differenza che per il trasferimento dati tra due unità si avvaleva dell'infrarosso.
La Dreamcast rimase in vita per poco più di due anni, solo in Europa, cosa a dir poco surreale considerando la scarsa rilevanza che ha sempre avuto il nostro mercato per le grandi case di videogiochi, la vita della console si protrasse per almeno tutto il 2003. E poi?
E poi SEGA annunciò che si sarebbe ritirata definitivamente dal mercato delle console, ripiegando sul solo ruolo di software house. Dalla fine degli anni '70 quando il MARK III di SEGA prese vita, fino al 2003, la casa giapponese aveva segnato la storia delle console per videogiochi e poi, in un attimo, lo stesso attimo che aveva coinciso con uno strano avvicendamento al ruolo di presidente della compagnia, la SEGA si ritirò. Era la fine di un'era.
In quel periodo, oltre alla console di SEGA, erano nate altre due console a 128 Bit, la PLaystation 2 ed il GameCube di Nintendo. E poi, a chiudere le fila, a colmare lo spazio lasciato nel mercato dal ritiro della SEGA ne arrivò una terza, Microsoft, con la sua X-Box.
Esatto, proprio quella Microsoft che aveva aiutato lo sviluppo della console di SEGA, la stessa Microsoft che da anni cercava un pretesto, o per meglio dire un MODO, di arrivare a espandere i suoi commerci anche nel florido e remunerativo mondo del home entertainment.
E per quanto rimarrà pur sempre un pensiero, un rumor, un pettegolezzo da addetti del settore che mai troverà una vera conferma, l'idea che SEGA abbia "venduto", o ancora, che Microsoft abbia "concusso" SEGA, per quello spazio, quel pettegolezzo si fa strada ancora oggi nelle persone che, diciamolo, rimpiangono la Dreamcast, compreso chi vi scrive.
Una cosa su tutte la dice lunga sul fatto che Microsoft abbia "raccolto" l'eredità di SEGA, il joypad della prima X-Box, annello successivo (Orrendo, siamo tutti concordi) nella catena evolutiva della macchina da gioco bianca.
Infatti, per chiunque guardi l'evoluzione dei controller di SEGA prima e di Microsoft poi, vede un continuum simile a quello percepito dai paleontologi quando ricostruiscono l'evoluzione dei fossili.
Non mi dilungo oltre, vi lascio al ben più facile e diretto filmato che ho trovato su YouTube, a cura di RetroGameTech, che spiega questa teoria meglio di quanto potrei mai fare io a parole.
E' finita qui? No, Dreamcast, grazie a validi programmatori come il NG:DEV TEAM continua a vivere anche nei giorni nostri, con uscite periodiche che tengono in vita la meraviglia di SEGA, ma di questo e di altro ancora, vi parlerò nel mio prossimo post.
In sostanza, quello che resta da dire è semplice, nessun videogiocatore, che sia stato appassionato al tempo in cui la Dreamcast era sulla piazza, sia che se ne sia appassionato solo oggi, capisce come mai una console al top delle vendite, con un forte seguito e con dei titoli bellissimi, con una tecnologia di base che avrebbe potuto dare ancora molto e che era ancora totalmente inespressa sia stata messa da parte e abbandonata.
Questo, più di qualsiasi altra cosa al mondo, provoca, soprattutto in chi scrive, una tristezza e una rabbia che ancora oggi è difficile da digerire. Sui perchè una qualche idea, personalmente, me la sono fatta e l'ho pure esposta, ma la verità, credo, non la sapremo mai.
Lunga vita al Dreamcast, la console che tutti dovremmo avere a casa, ancora oggi.
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